martedì 13 maggio 2014

Le nostre dieci domande: le risposte di Paolo Sinigaglia

Verso le Europee: il Pd di Cernusco porta in primo piano i temi dell'Europa, inviando 10 domande ai candidati della nostra circoscrizione, discutendone in piazza e in una serata di approfondimento. Perché «avvicinare l’Europa» a casa delle persone si può. Ecco le risposte di Paolo Sinigaglia

1) Quale istituzione europea va rafforzata e quale indebolita?
La questione istituzionale nell’UE non può essere ricondotta solo alla necessità di rafforzare o di indebolire un’istituzione, poiché l’UE è una costruzione che si è formata aggiungendo nuove politiche a quelle originarie (carbone e acciaio, energia atomica e mercato comune), di conseguenza le istituzioni UE non sono direttamente comparabili a quelle degli Stati nazione. In prima approssimazione si può dire che il Parlamento deve ottenere più poteri, la Commissione deve ottenere almeno in parte più poteri e il Consiglio deve essere ridimensionato. Il Parlamento, anche se meno che in passato e solo su alcune materie, ha meno poteri dei parlamenti nazionali e la Commissione non è un vero governo dell’Unione, perché ha i poteri di un governo solo su alcune materie (concorrenza, mercato, ecc.). Il Consiglio è un’istituzione che non ha eguali negli Stati nazionali perché è un vertice di ministri o primi ministri tipico delle organizzazioni internazionali. Il Consiglio è allo stesso tempo il vero governo dell’Unione e la più importante Camera dell’UE (la meno importante è il Parlamento), ha diritto di veto su molti argomenti e inoltre spesso i rappresentanti dei singoli governi hanno il diritto di veto all’interno del Consiglio. Una riforma istituzionale dell’UE deve mirare ad eliminare i poteri di veto dei singoli Stati, perché l’economia soprattutto in tempi di crisi ed all’epoca della globalizzazione vuole risposte in tempi rapidi. L’abolizione dei veti deve essere bilanciata da maggiori poteri del Parlamento europeo.

2) Cosa può fare l’UE per sostenere l’economia europea?
Anzitutto può costringere tutti i governi e in particolare quelli degli Stati membri a combattere evasione, corruzione e criminalità organizzata. Salta all’occhio il fatto che il numero di milionari/miliardari per abitante è molto più elevato in Grecia che in Germania, è evidente che l’accumulazione di grossi patrimoni nei Paesi più deboli dell’Unione Europea è correlata ad evasione fiscale, corruzione, criminalità organizzata e in generale ad un trattamento vantaggioso per i ricchi e svantaggioso per i meno abbienti e per il ceto medio. Inoltre la Commissione Europea dovrebbe proporre un piano di investimenti di lungo periodo che miri alla riqualificazione del sistema delle imprese in termini di produttività del lavoro e di tutela dell’ambiente, come quello richiesto dell’Iniziativa dei cittadini europei NewDeal4Europe. Gli Stati deboli non potrebbero finanziare investimenti di molti miliardi, perché i mercati richiederebbero loro tassi troppo elevati. Un piano dell’Unione Europea, garantito dai bilanci di tutti gli Stati membri o ancora meglio da un bilancio europeo potrebbe essere finanziato a tassi prossimi a quelli oggi pagati sul debito tedesco.

3) Quale politica dell’immigrazione europee?
Occorre meglio circostanziare i principi enunciati dal trattato di Lisbona, ovvero che la politica dell’immigrazione  deve essere orientata ai principi di solidarietà e responsabilità. Tuttavia, come di recente ha sottolineato il sociologo dell’immigrazione Maurizio Ambrosini, se vi fosse una politica di maggiore solidarietà non ne beneficerebbe di certo l’Italia, perché se i paesi mediterranei sono i più impegnati nella prima accoglienza, sono poi i paesi del centro e del nord Europa ad accogliere a titolo definitivo i rifugiati concedendo l’asilo e in proporzione alle loro possibilità paesi come Polonia, Ungheria e Bulgaria ricevono più richieste di asilo dell’Italia. L’Italia nel 2013 è stato il sesto paese d’Europa per richieste d’asilo, addirittura dietro un piccolo paese come la Svezia ed un paese con tenore di vita ancora non occidentale come la Turchia. E’ auspicabile un potenziamento di Frontex, che non faccia solo pattugliamento ma si occupi definitivamente di salvare vite umane, come sta avvenendo con l’operazione Mare Nostrum. Sarebbe poi utile: a) uniformare le regole sulla concessione dell’asilo e superare le cattive prassi di alcuni Paesi (tra cui l’Italia) che non concedono l’asilo ai cittadini di “paesi amici”; b) stabilire basi minime per le regole sulla concessione della cittadinanza dei singoli paesi; c) punire chi assume in nero immigrati irregolari (ma anche italiani e immigrati regolari) e favorire la regolarizzazione (in termini sia di permesso di soggiorno che di tasse e contributi); d) decidere una politica agricola meno protezionistica e dotare l’UE di una politica estera “strutturale” (ovvero orientata a obiettivi di lungo periodo): finché non ci sarà stabilità economica e politica in Africa vi saranno significative ondate migratorie; e) istituire un corpo europeo per il pattugliamento delle frontiere. L’accoglienza non solo è un dovere, ma ha anche effetti positivi soprattutto per i paesi mediterranei che negli ultimi anni hanno subito un forte calo demografico.

4) Quali proposte per il rafforzamento politico dell’Europa?
Andare avanti sulla strada della “politicizzazione e parlamentarizzazione”  della Commissione. La Commissione deve divenire il vero governo dell’Unione e deve essere legato con un chiaro rapporto fiduciario ad una maggioranza parlamentare. Il presidente della Commissione deve diventare il primo ministro dell’Unione Europea e i commissari veri ministri. Occorre limitare il potere di veto dei singoli Stati (cfr. domande 2 e 7).


5) La PAC (Politica Agricola Comunitaria) assorbe circa il 40% delle risorse Europee. Come pensi debba evolvere in quantità e modello di intervento?
L’agricoltura, che da lavoro a meno del 5% della popolazione e rappresenta 2 o 3 punti percentuali del Pil europeo non può assorbire circa la metà del budget dell’UE, sarebbe opportuno riallocare una parte di queste risorse sulle politiche industriali, in particolare sulle filiere più avanzate (alta tecnologia, ricerca). La PAC è diventata un gigantesco sussidio ed è ragionevole chiedersi perché la priorità nei sussidi è data agli agricoltori e non ai disoccupati. La riallocazione delle risorse sarebbe utile per finanziare un piano di investimenti di cui alla domanda 2), tuttavia per tagliare almeno in parte il bilancio della PAC occorrerà fronteggiare la lobby degli agricoltori, una delle più potenti a Bruxelles soprattutto perché ben rappresentata nei meccanismi decisionali della Commissione. In ogni caso sarebbe opportuno escludere da ogni forma di contributo chi non adotta tutti gli accorgimenti possibili per limitare il rischio idrogeologico (visto che tra le finalità della PAC vi è la tutela dell’ambiente) e chi sfrutta i lavoratori pagandoli pochi euro al giorno, siano essi immigrati o italiani. Sarebbe interessante, a solo titolo di esempio, sapere se coloro che sfruttano (o sfruttavano) i braccianti a Rosarno e gli allevatori che fanno (o facevano) pascolare il bestiame nei pressi dell’Ilva sono sussidiati dall’UE.

6) I fondi strutturali e di coesione sono stati lo strumento con cui l'Europa ha cercato di equiparare la situazione economica dei diversi paesi europei (Circa 35% delle risorse). Come pensi che debbano essere utilizzati questi fondi e in che modo potrebbero beneficiare l'Italia?
Occorre destinare i fondi strutturali ad attività produttive che possano generare lavoro (cfr. domanda 2).  Non ha senso fare interventi a pioggia, sparpagliando i finanziamenti su tutti i settori. Bisogna: a) concentrare i finanziamenti in 4 o 5 settori; b) investire in macroprogetti. L’Italia può puntare su diversi settori (dalle biotecnologie mediche, all’automazione, alle produzioni ecologiche  come quelle di Mater-BI Novamont) oltre che sul turismo. E’ necessario però prima di tutto vigilare sulle frodi: i fondi europei non devono essere distratti dalle attività produttive né dalle autorità pubbliche, né dai beneficiari finali (contrasto a finte imprese che prendono finanziamenti e poi chiudono).

7) Quale politica estera dovrebbe avere l'Europa?
Oggi l’Unione Europea non ha una politica estera. I singoli Stati, pur non essendo più in grado di fare una politica autonoma nel mondo dei BRIC e della globalizzazione , conservano quasi tutte le leve della politica estera. Una politica estera europea serve a rispondere alle sfide e ai pericoli emersi dopo il 1989 proprio quando sembrava che si andasse nella direzione di una maggiore sicurezza. Sicurezza non vuol dire solo difesa delle frontiere, ma anche lotta al terrorismo, alla criminalità internazionale, sicurezza energetica e ambiente e interventi nelle aree instabili del mondo, a partire dagli Stati falliti. E’ necessario che l’UE si doti di una strategia per il mediterraneo e di una per la Russia e per i suoi ex satelliti. In particolare la vicenda Ucraina (ma anche  le tensioni latenti nei paesi baltici) ci dimostrano che occorre da un lato imporre l’intangibilità dei confini, dall’altro imporre il rispetto dei diritti delle minoranze. Se dal 1991 in avanti le minoranze Russe non fossero state duramente discriminate oggi Putin avrebbe meno frecce nella sua faretra. La Russia non sarà mai uno stato UE, uno stato BRIC non ha le stesse strategie dell’UE e si può semplificare bene citando Prodi: “la Russia è troppo grande per aderire all’UE”. Occorre una strategia di pacifica convivenza con la Russia oggi e con l’Unione Euro-asiatica (omologo dell’UE che vuole creare Putin) domani. Sotto il profilo istituzionale sono imprescindibili un vero ministro degli esteri dell’UE (l’alto rappresentante quando va bene è un mero coordinatore delle politiche degli Stati membri) e un servizio per l’azione esterna ben attrezzato (che non abbia solo rilevanza interna, un paradosso!!!). E’ necessario parlare con una sola voce in tutti i forum internazionali dall’ONU al FMI, dall’OCSE alla FAO, non possiamo più permetterci un altro Iraq, ovvero un altro caso in cui i paesi UE prendano posizioni diverse segnatamente ad una guerra. Sarebbe auspicabile che la stessa persona ricoprisse la carica di presidente delle Commissione (oggi Barroso) e di presidente permanente del consiglio (oggi Van Rompuy), in questo modo l’UE parlerebbe con una sola voce e si risponderebbe alla provocazione di Henry Kissinger di molti anni fa: tutti saprebbero quale numero fare per parlare con gli europei, quello del presidente dell’UE o del suo ministro degli esteri.

8) Come allargare il concetto di “buona prassi” di Erasmus Universitario ad altre aree?
E’ possibile realizzare un programma che dia la possibilità ai giovani di lavorare in altri Stati dell’UE. Inizialmente si potrebbe affiancare all’Erasmus degli studenti l’Erasmus dei neolaureati, ai quali potrebbero essere fatte proposte di lavoro in altri Stati UE. Per esempio quando la “Garanzia Giovani” (sarà a regime si potranno proporre occupazioni all’estero ai giovani in cerca di lavoro, in questo modo sarà più facile incrociare la domanda e l’offerta di lavoro, inoltre i giovani avranno anche la possibilità di rafforzare il proprio curriculum sia migliorando le proprie competenze linguistiche sia facendo esperienza in contesti diversi che hanno un valore al di là delle competenze linguistiche. Il PPE fantastica nel suo programma l’Erasmus degli imprenditori, la direttiva Bolkestein e altri strumenti dovrebbero rimuovere le barriere amministrative all’attività di impresa nell’UE. Sarebbe opportuno che tutti i paesi si dotassero di sportelli unici in grado di svolgere in modo accentrato tutte le pratiche necessarie per aprire un’impresa, inoltre occorre rimuovere la madre di tutte le barriere, quella linguistica, facendo sì che tutti gli europei conoscano almeno due lingue straniere dell’UE.

9) Come fare innamorare gli italiani dell’Europa?
Quando “le cose andavano bene” gli italiani erano per l’integrazione europea, anche se il dibattito sull’UE in Italia, come in molti altri paesi, non è mai stato particolarmente informato. Gli italiani sono sempre più critici nei confronti dell’UE perché:
- non capiscono il suo complesso assetto istituzionale: sarebbe quindi opportuno semplificare e rendere più efficiente l’assetto istituzionale dell’UE come indicato alla domanda 1);
- il loro voto non serve a niente, perché l’UE è da sempre governata dalle larghe intese tra popolari, liberali e socialisti. E’ stata dunque condivisibile la strategia di politicizzare il dibattito con la scelta dei principali partiti di presentare un candidato alla Presidenza della commissione. I diversi partiti adesso devono definire programmi ed identità e spigare la loro idea di Unione Europea. Occorre creare un dibattito pubblico e uno spazio europeo di discussione e decisione;
- sull’Ue pesano le paure prodotte dalla globalizzazione: l’UE è nata per rispondere ai difetti della globalizzazione, se non sarà capace di farlo, morirà a causa della globalizzazione;
- i governi hanno sovente affermato che certe scelte (sempre le più dolorose) ci venivano imposte dall’Europa: chi crede nell’UE non deve cercare nell’UE un capro espiatorio, ma valorizzare le opportunità che essa offre, in termini di garanzia dei diritti individuali, individuazione di obiettivi sempre più avanzati (vedi ad esempio Europa 20-20-20), strumenti operativi di programmazione e progettazione degli interventi (non dimentichiamoci mai che gli anti-europeisti italiani e non solo si lamentano dei sacrifici economici imposti dall’Unione salvo poi che Paesi come l’Italia sistematicamente restituiscono all’Europa fondi che le spetterebbero e che non è capace di impegnare e spendere).

10) Che giudizio dai dell’Unione Monetaria?
L’Unione Monetaria può essere migliorata, dando una dimensione politica all’Europa (si potrebbe partire da una federazione dell’area euro per esempio) e consolidando i meccanismi economici necessari per rispondere alla crisi. Interventi quali le politiche monetarie di Draghi e l’Unione Bancaria, che ha spezzato il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario, sono positivi ed erano necessari, tuttavia l’UE ha risposto troppo lentamente alla crisi. Nel 2018 andranno a regime meccanismi che se fossero esistiti nel 2007-2008 avrebbero fatto risparmiare molti dei miliardi che gli Stati UE hanno investito nei salvataggi bancari. Le istituzioni dell’UE hanno avuto le competenze e la lucidità per individuare soluzioni ma non hanno avuto né i meccanismi decisionali né l’autorevolezza per rendere operative in tempi brevi queste soluzioni. Molti ritengono che l’Unione Monetaria abbia impoverito i paesi deboli dell’area euro, tuttavia i paesi deboli hanno risparmiato miliardi sul debito pubblico, che viceversa doveva essere finanziato con altre tasse e tagli alla spesa, e soprattutto nei primi anni dell’euro le loro imprese hanno ottenuto finanziamenti a tassi contenuti. Le politiche di svalutazione (cd svalutazioni competitive)  non sono strutturali ma contingenti (l’economista Zingales dice che si possono fare un paio di svalutazioni in 50 anni), i benefici di una valuta stabile si hanno per sempre. Questo ovviamente non esclude che per rendere meglio funzionante un’area monetaria non siano auspicabili politiche di redistribuzione della ricchezza, ma affinché queste siano legittime ed efficienti occorrono istituzioni politiche dell’area euro e meccanismi che spostino risorse dai ricchi ai poveri e non dagli operai degli Stati ricchi agli evasori degli Stati poveri.

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