di Mauro Andreoni
Nel 1948, alla vigilia delle prime elezioni politiche del secondo dopoguerra (il famoso 18 Aprile che oggi uno dei tanti “scudieri” del Cavaliere, evidentemente troppo zelante ma quasi privo di cognizione storica, vorrebbe trasformare in festa nazionale al posto del 25 aprile) , Alcide De Gasperi dichiarò che sognava un tempo in cui i cattolici avrebbero finalmente potuto distinguersi in conservatori e progressisti, militando tranquillamente in due partiti distinti (richiamando peraltro lo stesso concetto espresso da Don Luigi Sturzo all'atto della fondazione del Partito Popolare nel 1919).
Se si riflette sul fatto che quelle parole furono pronunciate in un momento cruciale per il futuro del Paese, da chi avrebbe avuto un interesse elettoralistico a inasprire lo scontro anziché a ragionare tranquillamente sui tempi lunghi, ebbene balza all'occhio la statura politica e morale dell'uomo. Soprattutto se confrontata con le caratteristiche “medie” dei parlamentari dei giorni nostri.
Parto da questa riflessione perché da alcuni mesi è tornato all'attenzione il problema (??) dell'unità politica dei cattolici.
Evidentemente 92 anni di presenza “laica” e aconfessionale dei cattolici in politica non sono stati sufficienti a chiarire completamente le idee .
Partire in buona fede dalla stessa concezione evangelica della vita non è sufficiente per arrivare a ipotizzare soluzioni comuni ai problemi di tutti i giorni.
Tanto più in una società deideologizzata come la nostra, ove semmai la sfida sta nel cercare punti di convergenza tra cattolici e non (cioè la maggioranza dei cittadini), allo scopo di perseguire assieme il bene comune. Operazione terribilmente faticosa ma ineludibile e certamente non impossibile anche quando si parla di argomenti eticamente sensibili come aborto, fine vita, fecondazione assistita, ecc.
D'altro canto anche la strategia delle gerarchie cattoliche italiane nel ventennio in cui la CEI è stata guidata dal Cardinal Ruini, ha dimostrato tutti i suoi limiti.
Cercare di mettere di fatto in secondo piano i laici cattolici con la loro autonomia (in contraddizione con uno dei più chiari messaggi lanciati dal Concilio Vaticano II), puntando su una interlocuzione diretta con i Governi conservatori che abbiamo poi saputo essere quelli del bunga-bunga, si è dimostrata una scelta miope, oltre che profondamente dannosa per la cifra totale dell'autorevolezza della Chiesa italiana.
Per arrivare a declinare le riflessioni di cui sopra ai giorni nostri, penso che le comunità cattoliche hanno ancora molto da dare. Perché la crisi attuale del nostro Paese non è solamente economico-finanziaria.
Al contrario a mio avviso essa è dovuta principalmente ad un deficit morale che ci impedisce di sentirci comunità e di guardare senza timore al futuro, (Nord contro Sud., italiani contro stranieri, occupati contro precari, giovani contro anziani, benestanti contro poveri, ecc.). Le risorse intellettuali che l'Italia ha, seppur non inesauribili, sono ancora molto pregiate. Il tempo però non gioca a nostro favore. Occorre intervenire al più presto per cambiare (a cominciare dall'attuale Governo che è talmente debole da risultare generatore anziché solutore di problemi), coscienti che l'unico strumento a nostra disposizione è ancora la Politica, indirizzata dai necessari processi democratico-costituzionali.
Nell'ardua sfida che speriamo possa condurre noi, i nostri figli e nipoti ad un futuro pacifico e umanamente più ricco, i cattolici italiani sono certamente una delle risorse importante a disposizione del Paese.
Nessun commento:
Posta un commento