domenica 7 ottobre 2012

Il megafono/ verso le primarie - La strada di Matteo

di Mauro Andreoni

Se partiamo dalla convinzione che la crisi economico/sociale che stiamo vivendo è sistemica e non ciclica, tutto il discorso di Renzi ha un senso compiuto.

Indipendentemente dalla antipatia o meno del personaggio, al quale certamente non manca una abbondante dose di “ego” che lo fa apparire a taluni come uno spaccone, si tratta di capire se condividiamo la sua diagnosi o meno. Quello che mi interessa è la sua analisi, non il personaggio politico in se. Le stesse idee potrebbero essere espresse da “Giovanni” anziché da “Matteo” e per me non cambierebbe nulla.


Se pensiamo che la globalizzazione ha raggiunto un grado tale per cui oramai le ricchezze stanno inesorabilmente migrando verso i paesi emergenti (BRIC) che mostrano straordinaria vitalità, costo de lavoro per ora sufficientemente basso, risorse naturali spesso abbondanti, ritmi demografici sostenuti e soprattutto fiducia nel futuro, dobbiamo necessariamente concludere che il “welfare state” europeo nelle sue varie declinazioni e soprattutto quello italiano, così costoso, elefantiaco e farraginoso ha oramai i giorni contati.
Se vogliamo (e noi democratici lo vogliamo fermamente) difendere il principio secondo il quale chi è più svantaggiato deve essere messo in condizioni dallo Stato di avere le stesse opportunità degli altri cittadini,  dobbiamo avere il coraggio di trovare le risorse per farlo, modificando profondamente l’organizzazione del nostro “stato sociale”. O lo facciamo o lo perdiamo.

Numerosi studi ci dicono che in Europa, per ogni euro speso dagli stati per alleviare le situazioni di sofferenza, quello impiegato in modo meno efficace è proprio quello italiano.
Non possiamo più permettercelo, anche a costo di scontrarci con interessi particolari, lobbies, sigle sindacali varie e quant’altro.

Riconosciamo inoltre che la troppo iniqua distribuzione del reddito è una barriera incredibile alla crescita del Paese (non a caso ciò che mantiene particolarmente depressa da alcuni anni la nostra economia è proprio la insufficiente domanda interna) . Bisogna mettere urgentemente in campo intelligenti politiche ridistributive. La prima (ma non unica) attenzione in questo senso va al lavoro. Il lavoro, oltre ad essere straordinario strumento di coinvolgimento civico dei  cittadino verso i destini della Nazione è un fantastico mezzo per distribuire ricchezza.

Chi da vita a nuovi posti di lavoro va premiato perché produce vantaggi per l’intera società e contribuisce a creare le risorse per combattere le varie povertà
.
Abbiamo imparato oramai tutti che il lavoro è un diritto (come recita la nostra Costituzione) che può però camminare solamente su ineludibili elementi concreti: la formazione continua, i capitali, le infrastrutture e l’assenza di corruzione. Senza questa basi ogni promessa o rivendicazione suona come vuoto esercizio populistico.

Se in Italia non torna questa consapevolezza temo che non ci sia articolo 18 o statuto dei lavoratori che possa reggere: saremo condannati ad un declino (già in atto) inarrestabile.

D'altro canto anche la ricetta Keynesiana (il famoso tassa e spendi spesso imputatoci dalla destra) non è più applicabile in un paese il cui debito pubblico veleggia intorno al  120% del PIL. Non si deve dimenticare che quando il presidente Roosevelt lanciò il New Deal nell’America degli anni ’30 il livello di prelievo fiscale negli Stati Uniti era fermo al 15% circa del PIL, non al 45% (ad essere scarsi) quale è quello italiano attuale.

Lo Stato deve perciò essere virilmente regolatore in una logica sussidiaria, dando modo alle forze sane continuamente emergenti nel paese di dispiegarsi nella direzione del bene comune. Uno stato arbitro inflessibile, non giocatore.

Ritengo quindi evidente che qualsiasi percorso virtuoso e di risanamento debba passare per una migliore ridistribuzione della ricchezza, per un nuovo ed efficace “walfare state”, per una radicale riforma fiscale che garantisca una vera lotta all’evasione, per una graduale ma drastica diminuzione della pressione fiscale sul lavoro e sui redditi medio-bassi e quindi per una ulteriore corposa diminuzione della spesa pubblica improduttiva. Nessuna di queste azioni può essere tralasciata, pena un ulteriore esercizio demagogico. Certo è che molti ci guadagneranno, altri invece perderanno i loro privilegi.

Sono queste politiche di “destra”??

Proprio no! E’ solo un tentativo concreto di guadagnare una convivenza più giusta e se si è credenti, come scrive (l’evangelista) Matteo, di fare un passo verso il Paradiso…….

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