lunedì 13 dicembre 2010

11 dicembre, cronaca di una giornata speciale

Il diario e le riflessioni di un giovane democratico di Cernusco alla manifestazione di Roma dell'11 dicembre.

di Daniele Pozzi

Ci sono giornate in cui se ti chiedono cos'hai mangiato a pranzo non sai rispondere. Ci sono giornate, invece, in cui ti ricorderai per sempre di quel piatto di bucatini all'amatriciana. Non perché fossero i migliori bucatini di Roma, ne esisteranno certamente di più buoni. Ti ricorderai per sempre di quei bucatini perché alcune giornate sono semplicemente speciali.
Giornate come quella di sabato 11 Dicembre 2010 sono speciali. Forse non segneranno la storia dell'umanità, ma segnano certamente molte storie personali, che non sono meno importanti.



Alcune giornate sono speciali perché non capita tutti i giorni di passare qualche ora nella più bella città del mondo circondati da bandiere di un partito e della sua organizzazione giovanile, sorrette da centinaia, migliaia di giovani sorridenti. Giovani che vogliono andare via, sì. Ma nel tempo, non nello spazio. Non vogliono andare via da un Paese che negli ultimi 30 anni ha distrutto loro la speranza di un futuro. Siamo la prima generazione postindustrializzazione che ha la certezza di aver davanti un tenore di vita inferiore a quello dei propri genitori. Eppure ci siamo, in piazza; ci siamo per dire che non vogliamo andare via da questo Paese, vogliamo andare oltre!

Alcune giornate sono speciali perché i tanti giovani in piazza si stringono in silenzio ad ascoltare qualcuno più attempato di loro che li rassicuri che non saranno soli in questa sfida. Qualcuno che li unisca attorno a valori comuni, troppo spesso passati in secondo piano, ma che oggi diventano il cardine su cui costruire il cambiamento.

Alcune giornate sono speciali perché ci si riesce a dire chiaramente che con più uguaglianza, più solidarietà, più conoscenza, più innovazione, più legalità, più sobrietà e più civismo si possono avere più crescita e più lavoro. Ci si riesce a dire che bisogna ripartire dall'Europa, quella di Jaques Delors e Romano Prodi, un'Europa in cui oltre a debito e deficit conti anche l'occupazione. Ci si riesce a dire che bisogna ripartire dalla Costitizione più bella del mondo, modernizzandone le regole e le istituzioni con un federalismo che unisca il paese, che riduca il divario tra Nord e Sud. Ci si riesce a dire che bisogna: ridurre il numero dei Parlamentari; fare una legge elettorale seria; portare ogni costo della politica alla media europea; cancellare le leggi speciali e della cricca; definire le incompatibilità e i conflitti di interesse; cancellare monopoli e posizioni dominanti; introdurre norme finanziarie, per snidare le illegalità e le mafie; occuparsi dei diritti, con leggi che sostengano la parità e riconoscano le differenze, leggi che combattano l’omofobia, che garantiscano la dignità della persona nella malattia, che dicano finalmente a un bambino nato qui e figlio di immigrati “tu sei dei nostri, sei un italiano”. Ci si riesce a dire che l'aliquota più bassa sul reddito di un operaio non può essere più alta di quella sulla rendita di uno speculatore. Ci si riesce a dire che qualità, tecnologie, ricerca, innalzamento dell’istruzione e della conoscenza, efficienza energetica, frontiera ambientale e dei beni culturali dovrebbero essere i nuovi parametri del dibattito politico. Ci si riesce a dire che l'unica vera alleanza che conta è quella con i cittadini che il pane se lo sudano, ma che possono tranquillamente guardarsi allo specchio.


Alcune giornate sono speciali perché mentre aspetti la metro che ti riporti a casa, capita di ricevere una telefonata inaspettata da un amico che ha deciso di vivere 2 anni e mezzo in Bolivia con la famiglia, ad aiutare chi è meno fortunato di te. Un amico che nonostante l'oceano che lo separa dal suo Paese vuole aggiornamenti su com'è andata a Roma. Un amico che ti chiede di poter tornare, tra 2 anni, in un'Italia diversa; un'Italia “senza di lui”; un'Italia normale; un'Italia più giusta.
Vorrei tanto poterlo promettere, vorrei tanto che ce lo potessimo promettere tutti, come atto d'amore per questo Paese sempre più vicino al fondo. Certamente ci proveremo, lo dobbiamo a chi in piazza c'era, a chi ci sarebbe voluto essere, a chi non ci è voluto essere, ma ci sarà. Vieni via, vieni via di qui, vieni via con noi. Vieni via da questi anni, da queste umiliazioni, da questa indignazione, da questa tristezza. C’è del nuovo davanti, ci sono altre giornate speciali, c’è un futuro da afferrare assieme, l’Italia e noi.

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