Saman ha 18 anni. Mia figlia 17.
In Saman rivedo mia figlia e la
sua voglia di vivere e di conoscere. E rivedo tutte le ragazze che a 17 o 18
anni si pensano immortali, quasi come se la morte non le riguardasse. Rivedo i loro
sogni, le aspirazioni, i progetti, i primi amori; il loro sfidare i limiti e il
lottare costantemente contro quegli ostacoli che incontrano durante il loro
percorso di autodeterminazione. Ostacoli che a volte siamo noi genitori ad
imporre, forse senza neanche rendercene conto.
In Saman rivedo anche il percorso
lento e difficile – non ancora concluso - che ha portato noi donne ad essere
riconosciute come persone aventi pari dignità rispetto agli uomini: quel
percorso che ci ha consentito di essere libere, di ottenere quei diritti che un
tempo ci erano negati. Saman, come tante donne prima di lei, per autorealizzarsi,
combatte gli ostacoli alla sua emancipazione: ostacoli che arrivano da
un’arretratezza culturale che non ha niente a che vedere con il fanatismo
religioso.
Saman rifiuta di sposare l’uomo
scelto per lei dai genitori: come
Franca Viola, che negli anni ‘60 rifiuta di sposare il suo stupratore, in un’epoca
in cui i genitori facevano di tutto per conservare la nostra “purezza”, fino a costringerci
a sposare l’uomo che ci aveva violentate. Abbiamo cancellato dal Codice penale
il delitto d’onore e il matrimonio riparatore solo nel 1981.
Saman lotta perché vuole studiare: come quelle donne che hanno lottato perché ci fosse riconosciuto
il diritto di istruzione, scontrandosi con la cultura predominante del tempo, che
ci voleva semplicemente madri, mogli o ‘angeli del focolare’, e che considerava
“normale” la nostra condizione di inferiorità. Ancora oggi purtroppo c’è chi ci considera più
adatte a studiare “materie legate all'accudimento”, un po’ come il Ministro
dell’Istruzione Gentile ai tempi di Mussolini che riteneva che non avessimo
“quella originalità del pensiero” “cardine della scuola formativa” e che
dovessimo quindi studiare in una «scuola adatta ai bisogni intellettuali e
morali delle signorine».
Saman lotta perché vuole
essere libera, come hanno lottato per
la libertà le donne partigiane, comprendendo bene che “per cambiare il mondo
bisognava esserci”.
Se fosse confermato il suo omicidio,
come purtroppo sembrerebbe, Saman non sarebbe diversa da quelle centinaia di
donne che ogni anno vengono uccise semplicemente perché dicono NO a qualche
uomo: ancora una volta una donna sarebbe stata ammazzata perché non libera
di autodeterminarsi.
Quindi il caso di Saman non
ha nulla a che vedere con l’Islam. Ha invece molto a che fare con una cultura
retrograda, con una mentalità arcaica di uomini e donne (mamme e papà) che in
Saman non vedono più una persona cara o una figlia da amare, ma una nemica che
può mettere in discussione il loro essere, fatto di cultura a trazione patriarcale,
che anche noi abbiamo ben conosciuto. Noi oggi siamo molto più libere di Saman solo
perché in passato tante donne – giovani e meno giovani - hanno lottato contro
questa cultura, e hanno lottato per l’affermazione di quegli stessi diritti universali
che Saman ora chiede alla sua famiglia. Forse ingenuamente pensando che le
possano essere riconosciuti facilmente.
Di donne come Saman è ancora
piena l’Italia. Non serve fomentare l’odio contro lo straniero. Serve piuttosto
comprendere se avremmo potuto fare qualcosa in più per salvarla, se per caso
esiste un vuoto normativo che possa e debba essere colmato. Serve capire come
la comunità nel suo insieme avrebbe potuto starle più vicino, rispettando le
sue origini, ma includendola in una società aperta.
Nella commissione che
presiedo, qualche settimana fa abbiamo fatto un approfondimento con l’assessore
Gomez sull’importante lavoro che lo sportello donna e la rete antiviolenza
svolgono sul nostro territorio per individuare e gestire casi di vulnerabilità anche
come quelli di Saman.
La mozione vuole essere allora
un’occasione di discussione e di sensibilizzazione sulla tematica dell’emancipazione
femminile, per allontanare anche l’odiosa strumentalizzazione di stampo
islamofobico che è stata portata avanti da un certo modo di fare politica. E
per chiedere invece che la politica – tutta – si assuma la responsabilità di
questa battaglia. Perché quella di Saman è una battaglia in linea con la nostra
storia e con la nostra Costituzione: non è né di destra né di sinistra, ma è
una battaglia di civiltà, che deve essere quindi portata avanti in eguale
maniera da donne e da uomini di ogni colore politico. Vivere e progredire è
difficile, diventa impossibile se si è lasciate sole.
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