mercoledì 30 giugno 2021

Intervento della Consigliera Elena De Riva - Consiglio Comunale 28/6/21

Saman ha 18 anni. Mia figlia 17.

 

In Saman rivedo mia figlia e la sua voglia di vivere e di conoscere. E rivedo tutte le ragazze che a 17 o 18 anni si pensano immortali, quasi come se la morte non le riguardasse. Rivedo i loro sogni, le aspirazioni, i progetti, i primi amori; il loro sfidare i limiti e il lottare costantemente contro quegli ostacoli che incontrano durante il loro percorso di autodeterminazione. Ostacoli che a volte siamo noi genitori ad imporre, forse senza neanche rendercene conto.

 

In Saman rivedo anche il percorso lento e difficile – non ancora concluso - che ha portato noi donne ad essere riconosciute come persone aventi pari dignità rispetto agli uomini: quel percorso che ci ha consentito di essere libere, di ottenere quei diritti che un tempo ci erano negati. Saman, come tante donne prima di lei, per autorealizzarsi, combatte gli ostacoli alla sua emancipazione: ostacoli che arrivano da un’arretratezza culturale che non ha niente a che vedere con il fanatismo religioso. 

 

Saman rifiuta di sposare l’uomo scelto per lei dai genitori: come Franca Viola, che negli anni ‘60 rifiuta di sposare il suo stupratore, in un’epoca in cui i genitori facevano di tutto per conservare la nostra “purezza”, fino a costringerci a sposare l’uomo che ci aveva violentate. Abbiamo cancellato dal Codice penale il delitto d’onore e il matrimonio riparatore solo nel 1981.

 

Saman lotta perché vuole studiare: come quelle donne che hanno lottato perché ci fosse riconosciuto il diritto di istruzione, scontrandosi con la cultura predominante del tempo, che ci voleva semplicemente madri, mogli o ‘angeli del focolare’, e che considerava “normale” la nostra condizione di inferiorità.  Ancora oggi purtroppo c’è chi ci considera più adatte a studiare “materie legate all'accudimento”, un po’ come il Ministro dell’Istruzione Gentile ai tempi di Mussolini che riteneva che non avessimo “quella originalità del pensiero” “cardine della scuola formativa” e che dovessimo quindi studiare in una «scuola adatta ai bisogni intellettuali e morali delle signorine».

 

Saman lotta perché vuole essere libera, come hanno lottato per la libertà le donne partigiane, comprendendo bene che “per cambiare il mondo bisognava esserci”.  

 

Se fosse confermato il suo omicidio, come purtroppo sembrerebbe, Saman non sarebbe diversa da quelle centinaia di donne che ogni anno vengono uccise semplicemente perché dicono NO a qualche uomo: ancora una volta una donna sarebbe stata ammazzata perché non libera di autodeterminarsi. 

 

Quindi il caso di Saman non ha nulla a che vedere con l’Islam. Ha invece molto a che fare con una cultura retrograda, con una mentalità arcaica di uomini e donne (mamme e papà) che in Saman non vedono più una persona cara o una figlia da amare, ma una nemica che può mettere in discussione il loro essere, fatto di cultura a trazione patriarcale, che anche noi abbiamo ben conosciuto. Noi oggi siamo molto più libere di Saman solo perché in passato tante donne – giovani e meno giovani - hanno lottato contro questa cultura, e hanno lottato per l’affermazione di quegli stessi diritti universali che Saman ora chiede alla sua famiglia. Forse ingenuamente pensando che le possano essere riconosciuti facilmente.

 

Di donne come Saman è ancora piena l’Italia. Non serve fomentare l’odio contro lo straniero. Serve piuttosto comprendere se avremmo potuto fare qualcosa in più per salvarla, se per caso esiste un vuoto normativo che possa e debba essere colmato. Serve capire come la comunità nel suo insieme avrebbe potuto starle più vicino, rispettando le sue origini, ma includendola in una società aperta.

 

Nella commissione che presiedo, qualche settimana fa abbiamo fatto un approfondimento con l’assessore Gomez sull’importante lavoro che lo sportello donna e la rete antiviolenza svolgono sul nostro territorio per individuare e gestire casi di vulnerabilità anche come quelli di Saman.

 

La mozione vuole essere allora un’occasione di discussione e di sensibilizzazione sulla tematica dell’emancipazione femminile, per allontanare anche l’odiosa strumentalizzazione di stampo islamofobico che è stata portata avanti da un certo modo di fare politica. E per chiedere invece che la politica – tutta – si assuma la responsabilità di questa battaglia. Perché quella di Saman è una battaglia in linea con la nostra storia e con la nostra Costituzione: non è né di destra né di sinistra, ma è una battaglia di civiltà, che deve essere quindi portata avanti in eguale maniera da donne e da uomini di ogni colore politico. Vivere e progredire è difficile, diventa impossibile se si è lasciate sole.

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